Quali sono gli stili del karate?

In questo podcast:

00:00:01 Gli stili di karate sono modi diversi di vedere la stessa cosa
00:16:04 Il Goju-Ryu
00:19:31 Lo Shito Ryu
00:25:00 Funakoshi e lo Shotokan
00:27:52 Yoshitaka, il figlio di Funakoshi
00:32:46 Lo, Shotokai


Gli stili non sono nient’altro che un modo diverso di vedere la stessa cosa.

Il karate è uno, come diceva il maestro Funakoshi; però, a seconda delle persone che hanno praticato, dei loro percorsi formativi e degli insegnanti con cui si sono allenati, ognuno di loro ha sviluppato un’idea in merito al karate, un proprio punto di vista.

Sono molto importanti nella strutturazione di uno stile le esperienze pregresse dell’insegnante, la sua esperienza di vita, ma anche la sua esperienza formativa e l’ambiente in cui questo stile è stato sviluppato.

Ti faccio un esempio per vedere se riesco a farti capire un po’ meglio quello che intendo. Un po’ di anni fa, ormai parecchi, ero a seguire uno stage di kali Filippino con il maestro Alfarano, e lui raccontava delle varie differenze che ci sono fra i modi di muoversi, di camminare, dei vari stili, ma perché? Perché sono nati in ambienti differenti e a seconda dell’ambiente in cui questo stile è nato, l’ideatore ha dovuto adattarsi all’ambiente.

Quindi gli stili nati ad esempio dove c’era tanta sabbia, magari in zone bagnate dal mare, avevano di particolare che i piedi venivano strisciati. Gli stili che venivano praticati prevalentemente in zone di giungla erano differenti perché le persone che lo praticavano dovevano riuscire a destreggiarsi fra le le varie radici e i tra i rami. Per cui si tende in questo in questo stile (il kali) ad alzare molto I piedi quando si fa il passo.

Il primo stile nel karate

Quando era nato, il karate non era strutturato: è nato in un ambiente magmatico dove ognuno seguiva una formazione propria. Non esisteva un canone o un percorso formativo uguale per tutti.

A un certo punto un insegnante ha deciso che fosse necessario avere un percorso da seguire e che permettesse anche un insegnamento più agevole. Questa persona si chiamava Matsumura Sokon.

Matsumura, che come buona parte degli abitanti di Okinawa si è trovato ad andare più volte in Cina per questioni di studio, lì ha imparato parte delle tecniche di combattimento cinesi. Quando è rientrato e ha iniziato a insegnare, ha sentito la necessità di strutturare qualcosa, e lui ha creato il suo canone chiamandolo “Okinawate”.

Cosa vuol dire Okinawate?

Non vuol dire nient’altro che la mano di Okinawa. Come Kara-te, che significa mano vuota mano vuota. Questo è stato il primo approccio a uno stile.

Gli stili più antichi

Dopodiché cos’è successo? Ogni famiglia di Okinawa che praticava il karate aveva un po’ il suo stile, e in seguito anche ogni regione ha iniziato a strutturare uno stile in base a determinate caratteristiche.

In questo modo si sono strutturati tre stili principali. Lo Shuri-te, il Na-te e il Tomari-te. Tutti hanno “te” alla fine del nome proprio perché volevano dire la mano di Shuri, la mano di Na e la mano di Tomari.

Shuri, Na e Tomari erano e sono tutt’oggi tre città, quindi questi erano gli stili praticati prevalentemente in quelle tre città e avevano delle particolarità ben definite. Ad esempio, nella città di Shuri c’era la nobiltà e il loro stile era decisamente particolare.

Quindi anche in antichità esistevano degli stili. Tuttavia non erano definiti e strutturati come quelli di oggi, e molto probabilmente avevano dei grandi punti in contatto l’uno con l’altro.

I 4 stili principali praticati oggi

La vera rivoluzione, se vogliamo chiamarla così, degli stili nel karate è avvenuta intorno alla fine dell’ottocento e nei primi anni del novecento.

Dobbiamo metterci in testa, per quanto la cosa ci possa non piacere, che il karate è una disciplina prevalentemente moderna. Affonda le sue radici in discipline antiche, e il karate di Okinawa è di fatto antico, ha una storia molto lunga. Ma il karate che pratichiamo noi oggi è una disciplina moderna che nasce alla fine dell’ottocento e inizio novecento.

In questo periodo si sono strutturati quattro stili principali, che sono quelli che vengono praticati tutt’oggi di più.

I principali sono lo Shotokan, che è lo stile più praticato al mondo, poi abbiamo lo Shito-ryu, il Gojo-ryu e il Wado-ryu. A questi poi si può aggiungere anche l’Uechi-ryu, che sta iniziando a prendere piede. Esiste poi il Kyokushinkai, che è uno stile di karate coreano che ha ben poco a che vedere con lo Shotokan, se non per il ghi bianco e per il fatto che anche loro dicono oss. Poi esistono lo Shotokai e altri stili ritenuti minori, perché purtroppo vengono praticati decisamente meno.

Se noi avessimo la possibilità di andare sull’isola di Okinawa, scopriremmo che esistono tanti altri microstili, o sottostili, perché c’è ancora la tradizione che alcune famiglie portino avanti il proprio stile. Era simile nel jiu-jitsu: buona parte delle famiglie aveva il proprio stile. Poi nel tempo, andando a morire gli ultimi discendenti di queste famiglie, purtroppo molti stili si sono persi.

Forse anche noi abbiamo perso qualcosa strada facendo.

Che particolarità hanno questi stili?

Gojo-ryu

Il Gojo Ryu è lo stile più antico, infatti fra gli stili moderni è quello che ha più contatto con gli stili tradizionali di Okinawa.

E’ uno stile che a me piace parecchio, però non a caso a livello estetico è uno dei più “bruttini”. Un kata di Gojo Ryu, Shito Ryu o Shotokan, molto probabilmente appagano di più l’occhio.

Ryu vuol dire scuola, via, sentiero. Gojo ryu è la scuola del duro e del morbido.

Il capostipite dello stile Goju Ryu è il famoso maestro Miyagi, quello di Karate Kid. Non so se ti ricordi, ma nei film il maestro Miyagi racconta che, non mi ricordo se nonno o bisnonno, si addormentò mentre era pesca, si trovò in Cina ed imparò le arti marziali. Quando tornò a Okinawa le portò nella sua isola natale. La storia a grandi linee non è del tutto scorretta.

Il Goju-Ryu è uno stile molto applicativo, che ha posizioni più alte rispetto a quelle degli altri stili. E’ uno stile molto duro, loro lavorano tutt’oggi con i metodi di condizionamento tradizionali: rinforzo delle nocche, rinforzo delle dita, la respirazione forzata. Adoperano ancora alcuni strumenti tradizionali di allenamento, come gli zori (zoccoli particolarmente pesanti per rinforzare le gambe), piuttosto che i vasi d’acqua per rinforzare le braccia o la presa della mano, o delle sorte di kettlebell fatte di pietra. Loro hanno ancora questo approccio interessante, perché di fatto è un salto indietro nel tempo.

Goju vuol dire duro e morbido, e la particolarità di questo stile è l’ambivalenza fra contrazione estrema e decontrazione.

Io ho avuto piacere anni fa di fare uno stage con il maestro Nomachi, che purtroppo ci ha lasciato. Era responsabile del settore Gojyu-ryu in Fesik, ed era veramente una persona splendida, sempre sorridente e allegra, aveva gli occhiali da sole rosa, io sta cosa penso che me la ricorderò finché campo. Loro non adoperano l’anca come nello Shotokan, ma ti posso assicurare che i pugni tirati dal maestro Nomachi facevano schioccare l’aria, quindi è assolutamente uno stile degno di nota.

La cosa curiosa è che il nome dello stile in realtà non è stato dato dal fondatore dello stile come spesso accade, ma è stato dato da un suo allievo che se non mi ricordo male si trovò in una specie di convention, diciamo così, inerente alle arti marziali, proprio per rappresentare il suo maestro, che non era potuto andare. Gli chiesero come si chiamava il suo stile, e lui era lì che non sapeva bene che pesci pigliare, perché non avevano mai dato un nome allo stile, gli venne in mente appunto di dare il nome del duro e del morbido.

Il simbolo del Gojoryu è un pugno stilizzato.

Shito-ryu

Altro stile: lo Shito Ryu, che sta iniziando a spopolare perché ha dei kata bellissimi. Ti consiglio se hai piacere di cercare su YouTube la campionessa giapponese di kata stile Shitoryu. Le sue sono delle vere opere d’arte, fa dei kata che ti lasciano a bocca aperta e fa venire la pelle d’oca.

L’ideatore dello Shitoryu fu il maestro Mabuni Kenwa che fu allievo del maestro Itosu (che fu anche l’insegnante del nostro caro maestro Funakoshi) e del maestro Igaon. Uno praticava Shurite e l’altro praticava Nate. Lui quando creò il suo stile fece un mix di queste due correnti di pensiero. Per fare un omaggio ai suoi insegnanti prese gli ideogrammi dei loro nomi, li mischiò e venne fuori Shito Ryu.

Lo Shito Ryu ha come simbolo la porta del tempio rossa che si vede a Kyoto.

Wado-ryu

Poi abbiamo il Wadoryu, la via della pace. Il simbolo del Wadoryu, parlando di pace, è la colomba.

È stato ideato dal maestro Otsuka e ha una particolarità. Il Wadoryu è un mix fra karate e jiu-jitsu. Il maestro Otsuka era un insegnante di jiu-jitsu e trovava delle carenze nel karate che cercò di colmare inserendo la sua esperienza nel nel jiu jitsu.

È uno stile particolare che io ho praticato in qualche stage. Ha posizioni molto alte, lavoro continuo sulle rotazione per acquisire più forza centripeta.

Shotokan

Lo Shotokan è lo stile più praticato al mondo perché è quello più propriamente giapponese.

L’ideatore dello Shotokan, Jichin Funakoshi, ha fatto qualunque cosa per poter portare lo Shotokan a essere quello che oggi è. Lui era un insegnante di scuola e per poter portare avanti il suo progetto con lo Shotokan ha fatto davvero di tutto, dall’inserviente, al giardiniere, all’insegnante appunto. Non si è arreso davanti a nulla.

Lo Shotokan è diventato particolarmente famoso in realtà grazie a Jigoro Kano, l’ideatore del Judo. Fu lui nel 1929 a invitare Funakoshi a una dimostrazione in Giappone. I giapponesi ne rimasero estasiati e chiesero appunto di insegnarlo all’esercito e di portare questa disciplina in Giappone.

Funakoshi fece tutto il possibile per togliere la parte cinese dal karate. Partì dalla pronuncia, anticamente non si chiamava karate. Cambiò gli ideogrammi, cambiò i nomi dei kata, lo giapponesizzò, fece un’ ”operazione di marketing” per renderlo più interessante ai giapponesi (perché ai giapponesi le cose cinesi non piacevano assolutamente). Funakoshi lavorò molto per modificare questo rimasuglio di storia cinese e cercare di renderlo giapponese al 100%. E ci riuscì, perché di fatto lo stile giapponese per eccellenza è lo Shotokan.

È lo stile più praticato al mondo anche perché è lo stile agonistico per eccellenza. I giapponesi l’hanno volto moltissimo all’agonismo.

Io immagino che nel Gojuryu non esistano gare di kumite. Il karate è per la vita e per la morte, e questo era anche l’approccio di Funakoshi.

Secondo te, zio Funakoshi era così attaccato al vile denaro da rinnegare le sue credenze? Certo che no. Funakoshi era molto tradizionalista da questo punto di vista. Lui riteneva che il karate fosse una pratica volta alla difesa personale, al cavarci l’impiccio e che non fosse idonea alla pratica agonistica. Si contrappose molte a tutto il filone agonistico, sia per quanto riguarda il kata, che per il kumite.

Funakoshi aveva un figlio, Yoshitaka. Questo ragazzo era molto propenso al mettersi alla prova, al praticare il kumite con i suoi amici e con i suoi allievi. Secondo lui era una pratica essenziale così come l’agonismo. Yoshitaka era malato di tubercolosi, infatti morì a 39 anni. Per cui Yoshitaka si sentiva anche un po’ una candela accesa in due punti, che brucia molto più velocemente, e lui apportò delle modifiche molto forti allo stile di Funakoshi. Fu lui a inserire le posizioni basse. Fu lui a esasperare l’utilizzo dell’anca e alcuni movimenti come venivano fatti una volta, che erano un po’ contro l’anatomia del corpo umano.

Ma perché? Perché a Yoshitaka non interessava. Yoshitaka sapeva che sarebbe morto presto. Per cui lui voleva tutto, voleva bruciare tutto e non si curava del benessere del suo corpo, perché intanto non sarebbe arrivato ad essere anziano.

Questo suo modo di fare colpì molto i giovani e creò un grande seguito fino al punto in cui Funakoshi si fece da parte, e lo Shotokan divenne quello che ho iniziato io negli anni 90: molto esasperato, che non si cura del benessere del corpo e dell’anatomia umana infatto creava a lungo andare dei danni.

Si creò uno scisma fra Yoshitaka e, non tanto Funakoshi, ma fra Yoshitaka e fra gli allievi storici di Funakoshi, quelli che vedevano nel karate un modo per migliorare se stessi, per evolvere se stessi e per abbandonare il proprio ego. E quindi si creò la scissione fra Shotokan e Shotokai.

Shoto era il nome con cui Funakoshi firmava le sue poesie, e significa onda dei pini. Quando Funakoshi andava a passeggiare sul monte Torao era affascinato dal suono che produceva il vento fra le fronde dei pini, creando quella sorta di onda. Shotokan è la casa dell’onda dei pini.

Il simbolo dello Shotokan è la tigre chiusa in un cerchio con la coda che si arriccia in senso sbagliato. Rappresenta il dominio sulle forze ancestrali, estreme, primordiali che sono dentro di noi. La tigre è questa forza incontenibile contenuta invece da un cerchio.

Al tempo stesso si creò questo scisma e ci fu lo Shotokai. Kai è il luogo di ritrovo. Lo Shotokai è uno stile molto strano per chi pratica lo Shotokan, dove si è cercato di mantenere un maggior rispetto nei confronti del proprio corpo e dove si è lavorato molto di più su tutto quello che era il diciamo il benessere psichico e psicologico della persona, e su quello che è poi un percorso vero e proprio di evoluzione.

Grande maestro dello Shotokai fu il maestro Egami che scrisse un libro bellissimo dove racconta appunto un po’ di cose della sua vita. Egami era allievo diretto del maestro Funakoshi, provava per lui un affetto veramente smisurato e fece una cosa straordinaria, un grande aneddoto su cui riflettere. Egami durante la sua pratica a un certo punto si trovò in difficoltà con una cintura bianca e si rese conto di come non aveva fatto suoi determinati principi, determinati modi di muoversi, non aveva fatto a sua l’arte.

Allora il maestro Egami si tolse la cintura nera, si rimise la cintura bianca e ricominciò da capo.

Questo per ricordarci che la cintura è soltanto un simbolo con un valore veramente minimo ed effimero. Non è quella che fa di noi un karateka.

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Schema degli stili del karate

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Eugenio

Dal 2009 Eugenio Credidio contrabbanda karate autentico ad Alessandria e nel web e insegna a riconoscere, prevenire e combattere la violenza. Oltre al sui dojo di Alessandria gestisce il canale YouTube di karate tradizionale più seguito d'Italia. Ha ideato il metodo di autodifesa Urban Budo che è stato riconosciuto dal CONI nel 2019. Nel 2013 ha pubblicato assieme al Maestro Balzarro, "On the road" per la OM edizioni e, nel 2020, "Passeggiando per la Via - Storia, riti e gesti del karate".

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