Sai perché le tecniche che vedi nei video di difesa personale o negli stage funzionano sempre?
Perché l’avversario è collaborativo e si muove secondo uno schema prestabilito in partenza.
Faccio un esempio: il mio avversario mi tira un diretto destro e poi sta fermo, lasciandomi campo libero per applicare la tecnica che sto studiando.
Questo approccio è giusto per studiare le tecniche, ma crea un’immagine distorta nella mente di chi si allena. Ripetendo tante volte questo schema i praticanti arrivano a pensare che le cose vadano così e che tutte le tecniche riescano.
Se vuoi vivere nel mondo degli unicorni e basare il tuo bagaglio tecnico su delle fantasie va benissimo approcciarsi alla difesa personale in questo modo.
Ma se vuoi valutare in modo più sincero se riesci ad applicare quello che hai imparato dovrai cambiare approccio. Al costo di prendere qualche tram sui denti e renderti conto che ci sono cose che, quantomeno per te, non funzionano.
Per fare questo devi allenarti con un avversario non collaborativo. Ti faccio vedere di cose si tratta nel nuovo capitolo del karate per la difesa personale.
È una forma di allenamento falsata perché limita molto ciò che chi si difende può fare, ma è un ottimo test per valutare una tecnica o una sequenza tecnica.
Avviso spoiler: tutti possono sbagliare in questa forma di pratica, anche io. Infatti io non riuscirò ad applicare la tecnica che propongo. Poco male: so che la sequenza non va bene per me o che devo allenarmi di più per riuscire ad applicarla.
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