Carl Pullein sta diventando uno dei miei punti di riferimento ultimamente. Magari non l’hai mai sentito nominare, quindi ti spiego: è un esperto di gestione e organizzazione del tempo. Il suo approccio si sposa perfettamente con il mio modo di fare. Seguirlo mi sta davvero aiutando tantissimo.
Durante uno dei suoi video corsi, Carl ha menzionato di avere l’ADHD, e molte delle caratteristiche che ha descritto mi hanno colpito profondamente. Ha parlato di come a volte diventa scorbutico se non riesce a completare ciò che si è prefissato, o di come entra in uno stato di “flow” quando trova la concentrazione. Anche la sua facilità a distrarsi e a passare da un argomento all’altro con estrema facilità, per me sono stati come un campanello d’allarme.
Mi sono chiesto se potessi avere anch’io l’ADHD. Così ho deciso di fare una serie di test online, ripetendoli più volte perché ovviamente non mi fido ciecamente di quello che trovo online. È emerso che ho un’altissima probabilità di essere affetto da questa condizione di neuro divergenza.
Ciononostante, mi sono accorto che negli anni sono riuscito a raggiungere moltissime cose nella vita, mantenendo impegni e raggiungendo risultati che molte persone che conosco con ADHD conclamata avrebbero fatto molta fatica a raggiungere.
Credo ci siano due ragioni per questo: primo, sono un karateka; secondo, non conoscendo la mia condizione inizialmente, non mi sono lasciato limitare da essa.
L’Importanza di non farsi limitare dalle condizioni
Voglio condividere con te un pensiero che ritengo fondamentale: non lasciare che le tue condizioni ti definiscano. Non è la tua condizione che determina chi sei e cosa puoi fare. È un messaggio che porto con me ogni giorno e che voglio trasmettere anche a te.
“Non è la mia condizione che determina chi sono e cosa posso fare.”
Viviamo in un’epoca in cui le diagnosi di disturbi come l’ADHD, la discalculia, e la dislessia sono in aumento. Questo fenomeno è legato, probabilmente, all’uso massiccio dei devices elettronici che frammentano la nostra attenzione. Bambini piccoli ricevono in mano dispositivi prima ancora di avere una struttura cerebrale pronta a gestire tutti gli input che arrivano. È una realtà con cui dobbiamo fare i conti.
Queste condizioni vengono sempre più riconosciute e diagnosticate, il che permette di avere un approccio più attento verso chi le vive. Tuttavia, è importante non usarle come scuse per sottrarsi alle difficoltà della vita.
“Possiamo far finta che sia vero oppure no ma questo è.”
Non voglio che la mia condizione diventi una scusa per non affrontare i problemi o per giustificare i fallimenti. Certo, ci sono casi estremi dove tali patologie possono influire in maniera significativa, ma nella maggior parte dei casi possiamo scegliere di non farci limitare.
“Sei tu a decidere chi sei e cosa puoi fare nella vita, non una diagnosi o un’etichetta.”
Mi ritrovo spesso a riflettere su come, purtroppo, molti della mia generazione e anche più giovani o più anziani, abbiano vissuto situazioni simili alla mia. Durante il mio percorso scolastico, mi sono trovato di fronte a insegnanti che mi hanno bullizzato per alcune mie difficoltà. La necessità di più tempo per svolgere un compito è stata una costante per me.
Non ho mai avuto la certezza di avere ADHD o condizioni simili, ma il bisogno di tempo extra è sempre stato evidente. Che si trattasse di matematica o delle versioni di latino, ero sempre quello che ci metteva troppo tempo. E i refusi? Non li vedevo proprio. Fortunatamente oggi posso contare su strumenti moderni come l’IA per correggere i miei testi.
Mi dovevo ingegnare per riuscire a fare quella cosa esattamente come tutti gli altri.
Nonostante le difficoltà e la mancanza di supporto da parte degli insegnanti, ho dovuto ingegnarmi e trovare soluzioni personali per superare gli ostacoli. Questo mi ha portato a sviluppare una sorta di resilienza e capacità di problem-solving che si sono rivelate preziose nel mio percorso accademico. All’università, sono riuscito a gestire un carico enorme di esami con successo proprio grazie alla mia abilità nel trovare “escamotage”.
Il karate mi ha insegnato a reagire alle difficoltà e a prendermi dei rischi, mantenendo sempre la testa alta.
Riconosco che se alle superiori avessi avuto un po’ più di comprensione o semplicemente più tempo durante i compiti in classe, avrei potuto evitare l’odio verso materie come la matematica e il latino, che con il tempo ho imparato ad apprezzare.
Oggi c’è una maggiore sensibilità verso queste problematiche e le persone hanno la possibilità di ricevere supporto adeguato. Questo è fondamentale perché permette loro di affrontare le sfide in modo più sereno e produttivo. Tuttavia, è importante fare attenzione affinché queste condizioni non diventino delle scuse sia per i ragazzi sia per i genitori.
Il ruolo del Karate
“Il karate mi ha aiutato tantissimo sull’autodisciplina.”
Parlando con ragazzi e giovani adulti, spesso sento dire “non posso fare questo perché ho l’ADHD”, se si pensa così ogni volta che si presenta un problema, ci si sta solo limitando da soli. È come darsi la zappa sui piedi. Qualunque condizione può essere gestita con il giusto approccio e la giusta determinazione. Il karate mi ha insegnato l’importanza di non farmi contenere dalle mie condizioni, ma di trovare modi creativi per superarle.
Insegno che non è la qualità a determinare chi siamo e cosa possiamo fare, ma come ci rapportiamo ad essa. Questo concetto l’ho visto anche lavorando con persone che si considerano limitate dal loro peso o da un infortunio.
L’esempio degli atleti paralimpici è illuminante: nonostante i loro handicap, raggiungono risultati straordinari perché non lasciano che le limitazioni li definiscano.
Approcciare la vita con la mentalità di un karateka significa superare i propri limiti e uscire dalla comfort zone.
Il karate mi ha insegnato a reagire alle difficoltà e a prendermi dei rischi, mantenendo sempre la testa alta.
Nella vita, ci troviamo spesso a fare i conti con condizioni che sembrano volerci definire. Ma la verità è che non sono queste restrizioni a determinare chi siamo o chi possiamo diventare.
Ho imparato che la timidezza, l’essere sovrappeso o avere difficoltà come l’ADHD non devono diventare etichette limitanti. Invece, ho scelto di affrontare quelle sfide, di buttarmi nelle esperienze e crescere con esse.
Ricordo di essere stato una persona timida e introversa. Il karate mi ha aiutato a uscire da quel guscio, spingendomi a collaborare con altri e accettare nuove sfide. Ho imparato a dire “io ci sono” in università o durante i corsi, accettando di fare il primo passo.
Anche quando ero sovrappeso da ragazzo, non ho permesso che quella condizione mi fermasse. Ho scelto di lavorarci sopra perché non ero soddisfatto e sapevo di poter essere più felice.
Il karate mi ha insegnato l’autodisciplina necessaria per affrontare situazioni difficili a scuola e nella vita quotidiana.
Io non sono la persona con l’ADHD, io sono Eugenio. Ed Eugenio è molto di più.
Spesso mettiamo davanti delle scuse per evitare responsabilità o impegni maggiori. Ma è importante riconoscere che questi limiti non devono essere un alibi per fermarci.
Il mio suggerimento è questo: anche se ti sembra difficile, prova a dire “io sono più di questo” e affronta le sfide con coraggio.
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