In trent’anni di pratica, raramente mi sono soffermato a riflettere sul perché il karate si pratica in silenzio. È una di quelle cose che ho sempre dato per scontate, frutto di un’abitudine e di un percorso educativo. Ma quest’anno ho preso il tempo di analizzare due esperienze personali che mi hanno portato a rivalutare questo aspetto: una domanda di una ragazza su Telegram e un momento di rivelazione personale.
Silenzio nel karate: non solo una convenzione
La domanda della ragazza era semplice ma incredibilmente potente: “Perché il maestro ci richiede di praticare in silenzio e di non fare domande?”. Questa curiosità si allineava perfettamente con una riflessione che stavo maturando in un periodo particolarmente ricco di stimoli nella mia vita quotidiana. Mi sono reso conto che il silenzio non è solo una convenzione o una regola tradizionale; è uno strumento fondamentale per ascoltare ed ascoltarsi.
In un mondo dove siamo costantemente bombardati da stimoli esterni, il silenzio diventa un’oasi di pace e consapevolezza. È il momento in cui il praticante può veramente sentire il proprio corpo e la propria mente. Senza distrazioni, possiamo percepire il ritmo del nostro respiro, il lavorio dei nostri muscoli e la concentrazione totale nei movimenti.
Il silenzio: una necessità per la mente e il corpo
Hai mai provato ad allenarti senza musica o rumori di sottofondo? Ho riscoperto il piacere di allenarmi in completo silenzio. All’inizio può sembrare strano, quasi destabilizzante, ma presto realizzi quanto possa essere rigenerante. Sentire il battito del cuore, la fatica dei muscoli, il respiro che si fa più pesante – tutto prende un nuovo significato e una nuova intensità.
La pratica del karate in silenzio ci permette di ritrovare un equilibrio interno, una sorta di armonia tra corpo e mente. È solo nell’assenza di rumore che possiamo raggiungere una reale consapevolezza di noi stessi e del nostro ambiente. Questo concetto potrebbe sembrare banale, ma è straordinario come il silenzio possa trasformare la qualità dell’allenamento e la nostra percezione di esso.
Le domande: alla ricerca della conoscenza
Passando alle domande, perché alcuni maestri non vogliono che gli allievi ne facciano? La risposta è duplice. Da un lato, non fare domande forza l’allievo ad ascoltare attentamente e ad osservare. Questo è essenziale nelle prime fasi dell’apprendimento. Svuotare la mente e assorbire le informazioni senza preconcetti è una pratica comune in molti riti iniziatici; è un modo per preparare l’allievo ad una comprensione più profonda e intuitiva.
Dall’altro lato, ci sono purtroppo maestri che evitano le domande perché non sanno dare risposte. Le domande obbligano l’insegnante a confrontarsi con i propri limiti, a trovare spiegazioni che siano logiche e valide. Per alcuni, ammettere di non sapere qualcosa è difficile. Ma è proprio attraverso le domande che si cresce, sia come allievi che come insegnanti. Io personalmente incoraggio sempre le domande, perché mi obbligano a riflettere e a migliorare la mia comprensione e capacità didattica.
La pratica quotidiana del silenzio
Vorrei allora sfidarti a trovare il silenzio nella tua vita quotidiana. Mentre lavi i piatti, fai le pulizie di casa o passeggi, prova a eliminare tutti quegli stimoli che normalmente ti circondano. Lascia spazio al silenzio e scoprirai quanto può essere pieno e rigenerante. Ogni momento di silenzio è un’opportunità per ascoltare te stesso, per ritrovare una dimensione di calma e pace interiore.
Imparare a praticare in silenzio non significa solo migliorare nel karate, ma anche arricchire la tua vita quotidiana. Il silenzio ha tanto da insegnarti, solo se sei disposto ad ascoltare.
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