Cos’è un karateka?

L’eroe è colui che libera il mondo dai mostri, che dissolve le tenebre dell’orrore, che porta la civiltà laddove esiste solo la vita selvaggia, ma è anche colui che porta dentro di sé la mostruosità e l’orrore che va combattendo.

Giorgio Ierano, nel suo libro “Eroi” (che ti consiglio vivamente di leggere), offre una definizione dell’eroe che, a mio parere, descrive alla perfezione anche chi pratica il karate.

L’eroe, ci dice Ierano, è chi libera il mondo dai mostri. È chi porta luce dove c’è buio e civiltà dove regna il caos. Ma c’è di più: l’eroe è anche colui che porta dentro di sé gli stessi mostri che combatte.

Non trovi che questa sia anche la definizione perfetta di un karateka? Tra tutte le descrizioni che ho letto o che potrei darti, nessuna mi sembra più precisa, più aderente e più bella di questa.

Crescere coi miti

La mitologia e il karate: un legame profondo

Penso che a oggi si parli troppo poco di mitologia. La mitologia ci dà tantissimi strumenti per ragionare su noi stesse su quello che ci accade nella vita.

Se mi conosci da un po’, sai già quanto sia grande la mia passione per la mitologia.

A differenza di molti bambini che si addormentavano con le fiabe, io sono cresciuto con i racconti mitologici. Mio padre, invece delle solite storie della buonanotte, mi narrava i miti greci. È stato un dono prezioso che ha piantato in me semi che continuano a germogliare ancora oggi.

Anche se non ricordo tutti i dettagli di quelle storie, quando ho tempo e serenità, mi piace riscoprirle. Torno a quei racconti antichi per approfondire e riconnettere i fili della mia memoria con quella saggezza senza tempo.

Il potere della mitologia nella vita quotidiana

La mitologia non è solo un insieme di storie fantastiche o leggende del passato. È uno strumento potente per comprendere noi stessi e ciò che ci accade nella vita. Nelle storie degli dei e degli eroi troviamo riflessi i nostri stessi conflitti, le nostre paure, i nostri desideri.

Tempo fa, leggendo un libro, mi sono imbattuto in una definizione dell’eroe che mi ha colpito profondamente. L’avevo appuntata con l’idea di dedicarci una puntata, ma poi, come spesso accade, altri progetti hanno preso il sopravvento. Recentemente, sfogliando i miei appunti, l’ho ritrovata e ho capito che non potevo più rimandare.

Questa definizione, a mio avviso, descrive in modo sorprendente cosa significa essere un karateka. Racconta il viaggio di chi pratica karate, dalla prima volta che mette piede nel dojo fino a quando raggiunge una maturità nella pratica. Parla anche del ruolo di chi insegna, o meglio, di quale dovrebbe essere il vero compito di un insegnante di karate.

Permettetemi di condividerla nuovamente con voi:

“L’eroe è colui che libera il mondo dai mostri, che dissolve le tenebre dell’orrore, che porta la civiltà laddove esiste solo la vita selvaggia, ma è anche colui che porta dentro di sé la mostruosità e l’orrore che va combattendo.”

Questa definizione contiene così tanti spunti interessanti che meritano di essere esplorati. Ci racconta del viaggio del karateka, di come si evolve dalla fase iniziale fino a una pratica più matura e consapevole. Ci parla anche del lavoro, spesso invisibile ma fondamentale, di chi si dedica all’insegnamento del karate.

La mostruosità interiore e il suo riconoscimento

La mostruosità interiore e il suo riconoscimento

L’uomo è una creatura fatta di luci e ombre, è una creatura fatta di negativo positivo. Essendo fatta di positivo e negativo siamo fatti di aspetti meravigliosi che se volessimo andare a ripescare appunto I discorsi sulla mitologia ci fanno arrivare vicino all’Olimpo degli Dei ma siamo anche fatti di una parte greve grezza alle volte inetta alle volte becera.

Possiamo tranquillamente sostituire la parola “eroe” con “karateka” nella definizione che ti ho dato prima. Ascolta come suona: “Il karateka è colui che libera il mondo dai mostri, che dissolve le tenebre dell’orrore, che porta la civiltà laddove esiste solo la vita selvaggia, ma è anche colui che porta dentro di sé la mostruosità e l’orrore che va combattendo.”

Suona davvero splendido, non trovi? A volte basta cambiare un piccolo pezzo e tutto assume un significato nuovo e più profondo.

La dualità della natura umana

Perché questa definizione si adatta così bene al karateka? Perché chi pratica karate è davvero tutte queste cose. L’insegnante di karate fa queste cose. Il percorso del karateka porta a fare tutte queste cose.

Quando iniziavi a praticare karate, soprattutto anni fa, magari eri un ragazzino un po’ arrabbiato con il mondo, con la vita, con la scuola. Avevi dentro questa energia, questa rabbia, questa tristezza, questa insoddisfazione. In una parola: questa mostruosità.

Questa mostruosità fa parte di noi. Nessuno di noi – lo sappiamo bene anche se ci piacerebbe tanto che fosse diverso, soprattutto oggi con i social media dove mostriamo solo il meglio – è fatto completamente di luce.

Luci e ombre dentro di noi

L’essere umano è una creatura fatta di luci e ombre, di positivo e negativo. E qui possiamo richiamare tutti i nostri ragionamenti su Yin e Yang.

Siamo fatti di aspetti meravigliosi che, se volessimo ripescare i discorsi sulla mitologia, ci portano vicino all’Olimpo degli Dei. Ma siamo anche fatti di una parte più greve, grezza, a volte inetta, a volte becera. Insomma, una parte che non è così positiva e che non ci piace.

Questa mostruosità può essere alimentata da emozioni come paura, rabbia, rancore, paura del fallimento, insoddisfazione e molto altro.

L’influenza della cultura occidentale

Ma cosa facciamo noi con questa parte oscura? Un po’ per via della nostra cultura cristiana (e non mi riferisco alla religione, ma al fatto che, ci piaccia o no, in Occidente abbiamo una cultura di base che deriva da quella cristiana), tendiamo a nasconderla.

Indipendentemente da ciò in cui crediamo – non sto facendo un discorso di fede – questa cultura fa parte del nostro background. Buona parte della nostra educazione si basa sul cercare di essere più simili possibile a un’entità perfetta, in questo caso Gesù Cristo.

Questa perfezione ci mette molto a disagio quando notiamo le nostre imperfezioni e le nostre mancanze. Non a caso (apro e chiudo una parentesi per non allontanarci troppo dal tema), quando fu strutturato il canone cattolico, i Vangeli apocrifi e gnostici furono messi da parte. In quei testi, la figura di Gesù veniva resa più umana, con difetti e carenze. Questo avrebbe allontanato l’immagine di Gesù come entità perfetta a cui aspirare.

La negazione che ci danneggia

Noi, figli di quella cultura che ci viene inculcata fin da bambini, abbiamo grande difficoltà a gestire le imperfezioni, a maneggiare le cose brutte che sono dentro di noi.

Invece di affrontarle, accettarle e farle diventare parte di noi – parte di quell’energia vitale che crea quel continuo equilibrio tra negativo e positivo, quel ciclo tra ombre e luci – preferiamo mostrare solo la parte migliore di noi.

Nascondiamo tutto sotto il tappeto e diciamo: “Ma sì, quella cosa lì non esiste, quel cane rabbioso non esiste.” Lo mettiamo sotto il tappeto. Ma quel cane rabbioso esiste e continua a muoversi, continua a dimenarsi. Prima o poi uscirà da quel tappeto e non saremo più in grado di controllarlo perché abbiamo fatto finta che non esistesse.

Invece, se riconosciamo e accettiamo questa parte di noi, possiamo trasformarla in qualcosa di costruttivo. È proprio questo uno dei grandi insegnamenti del karate: non negare la tua ombra, ma riconoscerla e imparare a usarla come fonte di forza.

Il karate come strumento di trasformazione

Il karate serve per trasformare l’uomo inteso non come ovviamente come sesso ma l’uomo ok? Quindi l’essere umano da una bestia da un animale a un essere umano compiuto quindi è un lavoro trasformativo.

Se avessimo il coraggio di incontrare quella parte di noi, quell’ombra che vive dentro il nostro essere, piano piano potremmo farci i conti. A poco a poco riusciremmo a gestirla, accettando che è una parte importante di noi.

L’equilibrio tra luce e ombra

Non possiamo avere il solito giochino: la luce senza l’ombra. Una non può esistere se non esiste l’altra. Il bene non può esistere se non esiste il male, e così via. Altrimenti, è come un encefalogramma piatto.

Ripensando a quando i ragazzi venivano in palestra, al dojo, a praticare karate, era molto facile trovare quella rabbia, quella paura, quell’insieme di emozioni negative che la società, i genitori, la scuola obbligavano a negare. Le mettevano sotto il tappeto, ma queste emozioni ribollivano nei ragazzi e nelle ragazze.

Come il karate ci mette di fronte a noi stessi

Il karate ci permette di affrontare questa parte di noi. Ci dà modo di sfogare queste energie praticando, mettendoci alla prova, sfidando noi stessi e a volte anche gli altri, in un contesto protetto.

Ma fa anche di più: ci permette di guardarla in faccia. Quando pratico con una certa energia, con una certa enfasi, mi rendo conto che questa energia c’è in me, che posso darle sfogo. Capisco anche che se non riesco a veicolarla, a gestirla, diventa distruttiva.

La lezione del Kumite

Questo si vedeva tantissimo nel vecchio Kumite. Quando davi sfogo a questa mostruosità interiore con un praticante del tuo stesso livello o con uno di livello più basso, eri quasi invincibile. Era facile sopraffare il tuo avversario.

Ma quando ti trovavi a fare Kumite con persone più esperte, con chi aveva già percorso quel cammino e aveva imparato a gestire e veicolare quelle energie, ti rendevi conto che più ti arrabbiavi, più tiravi fuori questa energia grezza, più spegnevi il cervello, e più eri vulnerabile.

Più davi sfogo a questo tipo di emozioni senza controllarle, più ti si ritorcevano contro. Il praticante esperto riusciva a usarle a suo vantaggio e a “fregarti” sempre.

Ma quando ti trovi davanti un praticante più esperto con tutta la tua furia incontrollata, ti rendi conto che quell’energia che ti faceva sentire forte, che ti faceva sentire potente, che a volte quasi ti trasfigurava, non era in realtà così positiva come credevi.

Allora inizi a farti delle domande. Cerchi di capire perché quel praticante riesce a batterti ogni volta, nonostante tu ci metta tutto questo “fuoco sacro”. E cominci a capire che quella parte di te è importante – ti dà energia – ma è un’energia che può bruciare anche te stesso.

È un’energia a cui bisogna attingere solo in determinati momenti, prendendola con le pinze, imparando a veicolarla, a gestirla. E così inizi a lavorare su te stesso attraverso la pratica.

Il potere trasformativo del karate

Questo è il grande lavoro che fa il karate. Lo diceva anche Funakoshi: il karate serve per trasformare l’essere umano da una bestia, da un animale, a un essere umano compiuto. È un lavoro trasformativo.

E come fa a compiere questo lavoro? Nel mio percorso, ho scoperto che il karate ti spinge a prendere queste energie, queste insoddisfazioni, e a buttarle fuori. Inizi a vederle, ad accettarle, e capisci anche che in alcune situazioni sono risorse preziose.

Se penso a una situazione in cui devo combattere per la vita, quell’energia animale e ancestrale (mi viene in mente il bersecker) è sicuramente potente e utile. Tirare fuori quella rabbia, quella furia, può essere necessario. Ma se non so veicolarla, se non so gestirla, diventa una bomba a orologeria che prima o poi esploderà contro me stesso.

Domare la bestia interiore

La pratica del karate ti insegna a incontrare questa parte di te, a gestirla, a veicolarla, a domarla. È qui che il karateka, come l’eroe della definizione, “porta civiltà laddove esiste solo la vita selvaggia”. Porta civiltà dentro di sé, libera dai mostri dentro di sé.

Il karateka è colui che libera il mondo dai mostri e dissolve le tenebre dell’orrore. Ma il mondo e le tenebre sono dentro di noi – sono i nostri mostri, le nostre tenebre.

Il karateka porta la “civiltà” dentro di sé – civiltà intesa come un livello più alto della nostra esperienza. E allo stesso tempo, continua a portare questa mostruosità e questo errore che va combattendo.

Lo porta sempre dentro di sé perché non è qualcosa che possiamo togliere o estirpare. Non è un dente cariato che possiamo estrarre con delle tenaglie. È una parte importante di noi stessi che dobbiamo imparare a gestire.

Il karate ci insegna proprio questo: non a negare la nostra ombra, ma a riconoscerla, accettarla e trasformarla in una fonte di forza controllata.

L’insegnante di karate come mentore

Quando diventa un insegnante, quando decide appunto dopo aver fatto il suo viaggio dell’eroe e aver trovato proprio come nelle tappe del viaggio dell’eroe, delle dodici tappe trovato, è morto ed è rinato e trovato l’elisir torna indietro e porta questo elisir nella sua civiltà e diventa a questo punto un mentore.

Quando il karateka porta fuori ciò che ha dentro? Quando cerca di liberare il mondo dai mostri e di dissolvere le tenebre non solo dentro di sé ma anche fuori?

Da praticante a mentore

Succede quando diventa un insegnante. Dopo aver fatto il suo viaggio dell’eroe, dopo aver seguito tutte le tappe di questo percorso, dopo essere simbolicamente morto e rinato, trova il suo “elisir” e torna indietro. Porta questo elisir nella sua comunità e diventa un mentore.

Un mentore è una persona che, grazie alla sua esperienza, a ciò che ha imparato e alla sua sensibilità, è in grado di formare altre persone. Può aiutare gli altri, nei limiti del possibile (non siamo psicoanalisti!), a incontrare quella parte di sé che fa paura e a imparare a gestirla.

L’evoluzione delle “mostruosità interiori”

Le cose sono cambiate rispetto a quando ero ragazzino io. Una volta era più facile e chiaro aiutare i ragazzi a fare i conti con i loro “mostri interiori”. I ragazzi erano come me: arrabbiati, insoddisfatti, con una sorta di aggressività dentro, un calderone che ribolliva.

Oggi, la bestia, il mostro, si è fatto più furbo. È cambiato molto. Non è più una forza che cerca di esplodere, non è più rabbia o insoddisfazione, non è più una forza “punk”.

Il passaggio dalla rabbia alle fragilità

Avendo a che fare con i ragazzi oggi, si parla più di insicurezze, di paura, di fragilità. Il mondo non è migliorato (anzi, ho la vaga sensazione che si presenteranno tempi duri). Continua a essere un mondo complicato, pesante, difficile. Un mondo che va sempre più veloce e ci chiede sempre più cose.

È un mondo che ci mette davanti esempi e traguardi che spesso sono finti, ma a cui crediamo. Modelli irraggiungibili che ci fanno sentire inadeguati.

È anche un mondo in cui, cercando di fare il bene dei ragazzi, li stiamo proteggendo tantissimo. Non diamo loro la possibilità di crearsi quegli anticorpi che noi una volta sviluppavamo con più facilità.

La pressione sociale di oggi

Ci si trova così a lavorare con ragazzi e anche adulti che sono più insicuri, che hanno più paura, che hanno più fragilità. Ma anche se il mostro è cambiato, in realtà ha solo cambiato maschera. Quella bestia è sempre dentro di noi.

Negarla, non farci i conti, non imparare a conoscerla non fa altro che alimentarla. Il karate diventa quindi uno strumento utile per imparare a incontrare e conoscere quella parte di noi che ci hanno detto di nascondere.

Ci hanno insegnato che non possiamo essere fragili, insicuri, impauriti o arrabbiati. Perché? Perché sui social dobbiamo essere sempre tutti felici. Dobbiamo sempre far vedere quanto viviamo bene, quanto la nostra vita è invidiabile, quanto guadagniamo, quanto facciamo viaggi splendidi.

L’importanza di accettare le proprie debolezze

Ma quando gratti via la superficie, vedi che in realtà le cose sono molto diverse. Pensiamo di non poter mostrare le nostre debolezze, ma non è vero. Potete tranquillamente esprimerle, soprattutto con le persone a cui volete bene.

Se riusciste a togliervi questo peso di dosso, questa necessità di sembrare sempre all’altezza della situazione, probabilmente vivreste meglio. E questo si ripercuoterebbe positivamente su tutta la vostra vita.

Come insegnante di karate, il mio compito è proprio questo: essere un mentore che aiuta i praticanti a riconoscere e accettare anche le loro parti più fragili, trasformandole in punti di forza.

Scoprire la forza attraverso le fragilità

Scoprire la forza attraverso le fragilità

Nel momento in cui riusciamo a puntellare, a gestire non a puntellare le nostre fragilità, le nostre insicurezze e la nostra paura beh probabilmente, almeno questa è quella che è la mia esperienza lavorando in questo settore, ci renderemo anche conto che dentro abbiamo molta più forza di quella che crediamo.

Cosa può fare il karate per aiutarci con quella “bestia interna” che tutti noi abbiamo? Perché sì, ce l’abbiamo tutti. Fa parte di noi, è inutile negarlo.

Come il karate aiuta a conoscere meglio se stessi

Il karate può aiutarci prima di tutto a capire chi siamo veramente, con tutte le nostre insicurezze. Va bene così. Praticando, iniziamo a conoscerci meglio. Scopriamo i nostri punti di forza e i nostri punti deboli. Impariamo a sfruttare ciò in cui siamo bravi e, cosa ancora più importante, a trasformare le nostre debolezze in punti di forza.

Iniziamo a rompere quella fragilità che ci frena. Come? Intanto rinforzando il corpo. E quando il corpo diventa più forte, anche il nostro spirito si rafforza. Con uno spirito più forte, otteniamo strumenti ed elementi che ci permettono di affrontare sfide che prima ci sembravano impossibili.

Il rafforzamento del corpo come via per rafforzare lo spirito

L’insicurezza è un mostro che il karate ci aiuta a domare. Quando impariamo cose nuove e vediamo che ce la facciamo, quando lavoriamo con i compagni e realizziamo che possiamo farcela, quando facciamo esercizi di kumitè – non importa se vinciamo o perdiamo – ma vediamo che quella cosa l’abbiamo fatta… tutto questo crea in noi un terreno fertile per battere le insicurezze.

È un processo graduale ma efficace. Ogni piccolo successo, ogni tecnica appresa, ogni kata completato diventa un mattoncino che ci aiuta a costruire una versione più forte e sicura di noi stessi.

La scoperta della forza interiore attraverso il superamento delle insicurezze

Piano piano, attraverso questo percorso, possiamo scoprire che dentro di noi c’è molta più forza di quanto crediamo. Quando impariamo a gestire le nostre fragilità, le nostre insicurezze e le nostre paure – non a nasconderle o a negarle, ma a gestirle – ci rendiamo conto di quanto siamo forti.

È proprio quella forza, quella “mostruosità” che abbiamo tenuto schiacciata, a cui non abbiamo mai dato sfogo, che può diventare la nostra più grande risorsa. Nel momento in cui impariamo ad attingere a quella forza ancestrale, scopriamo di poter fare un sacco di cose che non avremmo mai pensato di poter realizzare.

Il karate come percorso che lavora sul corpo per raggiungere la mente

Come karateka, dovremmo imparare a conoscere ogni aspetto di noi stessi e, con il tempo, a utilizzare anche quelli che sembrano negativi. Alcuni aspetti di noi che tendiamo a reprimere potrebbero essere risorse preziose in caso di necessità.

Quella forza ancestrale di cui parlavo prima, oggi assopita, potrebbe essere una grandissima risorsa per uscire da situazioni pericolose, se impariamo ad attingervi e a veicolarla nel modo giusto.

E la cosa bella è che il karate fa tutto questo passando dal corpo. Lavorando con qualcosa che puoi toccare, sentire e vedere – il tuo corpo e quello degli altri – piano piano arrivi a lavorare anche dentro di te.

Non sto dicendo che il karate sostituisca percorsi specialistici che analizzano a fondo la persona che siamo. Ma di sicuro questo tipo di lavoro ci permette di iniziare a capire meglio chi siamo, quali sono i nostri punti di forza e le nostre debolezze. Ci aiuta a comprendere perché a volte ci sentiamo in un certo modo.

E se abbiamo abbastanza coraggio e un insegnante giusto, possiamo affrontare queste scoperte e, poco alla volta, trasformarci. Come dice scherzosamente il maestro: “Adesso stai usando la tua testa non solamente per prendere botte.”

Il karate è un viaggio di scoperta e trasformazione. Un viaggio che parte dal corpo ma arriva alla mente e allo spirito. Un viaggio che ci insegna che le nostre fragilità, se affrontate con coraggio, possono diventare la nostra più grande forza.

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Eugenio

Dal 2009 Eugenio Credidio contrabbanda karate autentico ad Alessandria e nel web e insegna a riconoscere, prevenire e combattere la violenza. Oltre al sui dojo di Alessandria gestisce il canale YouTube di karate tradizionale più seguito d'Italia. Ha ideato il metodo di autodifesa Urban Budo che è stato riconosciuto dal CONI nel 2019. Nel 2013 ha pubblicato assieme al Maestro Balzarro, "On the road" per la OM edizioni e, nel 2020, "Passeggiando per la Via - Storia, riti e gesti del karate".

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