Karate e Self -Improvement

Praticare karate diventerai la versione migliore di te stesso. Quante volte avete sentito questa frase per l’amor di cielo non solo inerente al karate ormai va abbastanza di moda io sto sviluppando una sorta di orticaria in merito.

Questa propensione questo estremo desiderio questa quasi spinta metanfetaminica a dover essere una versione migliore di se stessi è così positiva?

“Praticare karate diventerai la versione migliore di te stesso.” Quante volte hai sentito questa frase?

Praticando questa cosa diventerai la versione migliore di te stesso… Ma che cos’è questa “versione migliore di te stesso”? E siamo poi così sicuri che tu debba diventare una versione migliore di te? Non che tu non possa migliorare, si può sempre migliorare, ma questa propensione, questo estremo desiderio, questa quasi spinta metampetaminica a dover essere una versione migliore di se stessi è così positiva?

E il karate, soprattutto, può davvero farti diventare una versione migliore di te stesso?

Il mito del Self-Improvement

La Problematica del Self-Improvement

Voglio parlare con voi di self-improvement partendo appunto da quella frase maledetta del “diventare una versione migliore di noi stessi”.

Ma perché se io mi vado bene così e se io sono già una buona versione di me devo per forza di cose migliorare?

Probabilmente sì, probabilmente no. Non lo so, su questo non ho una risposta definitiva, ma ho notato negli ultimi anni – forse un paio d’anni, non saprei – che c’è tanto questa spinta verso il self-improvement, quindi il miglioramento di se stessi.

Questo, di per sé, a parer mio è una cosa meravigliosa, soprattutto da karateka è qualcosa che trova molta affinità in me. Ma al tempo stesso mi sembra stia diventando anche una cosa un po’ pericolosa, perché tutto deve essere spinto al migliorarsi, a diventare appunto questa dannata “versione migliore di te stesso”.

Tutti gli strumenti ormai stanno diventando utili per farti diventare una versione migliore di te stesso.

Vuoi cucinare puoi diventare una versione migliore di te stesso devi lavare il water puoi farlo diventare una versione migliore di te stesso fai karate il karate ti farà diventare una migliore una versione migliore di te stesso

Tutto quello a cui ci approcciamo sta diventando qualcosa che ci permette di farci diventare una versione migliore di noi stessi. E questo è pericoloso secondo me. È pericoloso per tanti, tanti motivi ed è pericoloso soprattutto se viene approcciato, a parer mio, con questo approccio un po’ all’americana. E adesso vi racconto anche perché, dato che ho avuto delle esperienze in prima persona in merito.

Il fatto di volersi continuamente migliorare, di volersi continuamente crescere è di sicuro un aspetto positivo ed è un aspetto che al karateka a noi praticanti sta particolarmente a cuore

Perché il karate è questo: cercare continuamente di superare i propri limiti, di diventare un po’ più bravi, di capire un po’ di più, di andare un po’ più in profondità.

Però quando si parla in ambito di self-improvement, questo self-improvement prende una connotazione molto ampia. Non diventa più soltanto il diventare magari un karateka migliore, quindi un perfezionarsi a livello tecnico, un capire qualcosa di più, o un approcciare i precetti del karate alla nostra quotidianità per cercare di essere delle persone migliori.

Inizia a diventare una costante ricerca verso un miglioramento e verso un’immagine idealizzata o di qualcun altro, perché alle volte seguiamo l’idea che ci dà qualcun altro, idealizzata, dove arriveremo in una sorta di stato di illuminazione e avremo sicuramente successo, fama, benessere, serenità e tutte queste cose.

Ma la realtà è un po’ diversa da così.

Limiti e illusioni del Self-Improvement

I Limiti e le Illusioni del Self-Improvement

Io dubito che alcuni di noi e non perché non abbia fiducia in voi ragazzi che mi ascoltate ma dubito che alcuni di noi anzi che buona parte di noi potranno mai arrivare a quel livello perché siamo esseri umani e come tali abbiamo dei limiti

Voglio essere sincero con te: dubito che molti di noi potranno mai raggiungere quella versione idealizzata che il self-improvement ci promette. Non lo dico perché non ho fiducia in te che mi stai ascoltando, ma perché siamo esseri umani e, come tali, abbiamo dei limiti naturali. Siamo fallaci, siamo il prodotto di ciò che abbiamo vissuto e di come abbiamo reagito alle nostre esperienze.

Tendere costantemente a questa versione idealizzata di noi stessi può diventare un problema. Innanzitutto perché non ci fa mai sentire all’altezza. È come se tutto quello che facciamo non fosse mai abbastanza. Non ci trattiamo con la giusta dolcezza che probabilmente meriteremmo.

Ognuno di noi durante la vita affronta momenti di alti e bassi. Tutti abbiamo collezionato rimpianti, occasioni perse, situazioni che ci fanno dire “mannaggia la miseria”. E continuare a pensare che dobbiamo essere meglio di così, che dobbiamo assolutamente lavorare per migliorarci, per crescere, per “improve myself”, a parer mio non è sempre la cosa migliore. L’idea in sé può anche essere buona, ma l’approccio spesso non è dei più salutari.

Va benissimo così come sei va benissimo così ovvio che se ne hai piacere ne hai le forze ne hai il coraggio puoi cercare di migliorarti

Inoltre, lavorare in questa maniera – che io chiamo “all’americana” per via della mia esperienza personale in certi circoli – crea tante illusioni. Ci dà l’idea che potremmo assolutamente raggiungere determinati risultati a livello di self-improvement che magari per noi non sono raggiungibili, o non lo sono in quel momento.

Questo accade perché partiamo da un punto di partenza che probabilmente è diverso da quello del guru che abbiamo visto e che ci fa brillare gli occhi, facendoci sognare di diventare come lui. Oppure semplicemente perché l’ambiente in cui viviamo in quel momento non ce lo permette.

Insomma, voglio dirti una cosa importante: va benissimo così come sei. Va benissimo così. Ovvio che se ne hai piacere, se hai le forze, se hai il coraggio, puoi cercare di migliorarti. Ognuno di noi può farlo. Ma così come siamo, soprattutto se ci poniamo delle domande, se non siamo impermeabili al mondo esterno, se cerchiamo di trattare tutti con gentilezza, con rispetto, con amore, e di fare di noi delle brave persone – va bene così.

Il fatto di farlo o non farlo non credo che ci debba far sentire in colpa

Possiamo decidere di fare un po’ di più, ma il fatto di farlo o non farlo non credo che ci debba far sentire in colpa. E la cosa pericolosa, a parer mio, di questo tipo di approccio è che va a creare una sorta di dipendenza.

Lo dico perché non ci sono proprio finito dentro, però credo di aver schivato una pallottola o due. Mi è capitato in periodi magari un po’ complicati della mia vita di rifugiarmi in alcuni libri, in alcuni video di persone che lavorano sul self-improvement. E per l’amor del cielo, mi hanno anche dato tanto sotto alcuni punti di vista. Però sono scritti in una maniera tale, e ti chiedono di fare cose in maniera tale, che tu davvero inizi a creare una sorta di dipendenza.

Io non ci sono cascato perché, fortunatamente o sfortunatamente, nella mia esperienza formativa mi sono trovato in una sorta di società con uno schema piramidale. All’interno di questo gruppo mi sono accorto che era tutto improntato sull’essere sempre la versione migliore di se stessi, lavorare su noi stessi, cercare di crescere, “siamo tutti fighi, siamo tutti splendidi” e via dicendo.

Sinceramente, quelle persone erano probabilmente individui che avrebbero avuto tanto bisogno di un aiuto esterno, di un po’ di psicoterapia – gli avrebbe fatto tanto bene. Cercavano in quel gruppo, in quel tipo di approccio, una risposta ai loro malesseri.

A volte il self-improvement può diventare un modo per evitare di affrontare i veri problemi, nascondendoli dietro una facciata di continuo miglioramento. Possiamo migliorare, certo, ma dobbiamo anche accettarci per quello che siamo, con i nostri limiti e le nostre imperfezioni. È un equilibrio delicato, ma necessario per un benessere autentico.

Il Kaizen: un approccio alternativo

Il Kaizen: Un Approccio Alternativo

Anziché self-improvement, preferirei – anzi, preferisco – l’approccio del Kaizen. Detto così suona un pochino… lo so, un po’ strano: “l’approccio del Kaizen”. Altro nome su cui oggi ragioniamo un attimino, altro sostantivo su cui ci soffermiamo. Perché? Perché adesso anche questo, porcaccio il due, sta diventando un mantra che ogni tre per due senti ripetere. Il Kaizen, insieme a Ikigai.

Io ho scoperto il concetto di Kaizen, forse ve ne ho già parlato, durante un seminario, uno stage di Kobudo con il maestro Iga. Alla fine del seminario, di questo stage di due giorni, il maestro disse:

L’importante non è andare avanti a grandi passi. L’importante è fare come le tartarughe: andare avanti costantemente, piano piano, e allora faremo tanta strada. Questo è Kaizen.

E ho detto: “Che figata, bellissimo!” E a me questa cosa è rimasta tanto dentro, veramente mi ha affascinato, mi ha affascinato tantissimo. È figa!

Poi mi sono un pochino informato in merito e in realtà ho scoperto – e questo mi fa molto, molto sorridere, perché vedere che oggi viene approcciato in maniera filosofica senza sapere magari come è nato il concetto di Kaizen mi fa un po’ ridere – ho scoperto che in realtà deriva dal ciclo di Deming, quindi da un approccio al miglioramento dei processi di produzione. Il concetto di Kaizen è stato poi inserito nei processi della Toyota e fa parte proprio un po’ del manifesto della Toyota.

Cosa fanno praticamente loro? Cercano di migliorare costantemente il processo di produzione andando a rispondere a (mi sembra) cinque… perché è un approccio intelligentissimo, su cui torneremo. E ovviamente bisogna un attimo approcciarsi sempre con le pinze quando ci avviciniamo a queste cose qua. Oh, mannaggia, mi sa che ho dato una botta alla scrivania e vi ho fatto sembrare di essere in alto mare.

Perché è facile poi far sì che questi principi, questi concetti diventino un po’ i nostri dogmi. Quindi facciamoci sempre attenzione, perché molti di quelli che appunto vanno ad acclamare e a decantare il Kaizen lo fanno meramente per questioni di marketing. Non conoscono una cippa probabilmente di filosofia e di filosofia zen, e lo decantano in questa maniera qua.

A noi non ce ne deve importare nulla, perché l’importante è il concetto dentro e il fatto che lo troviamo affine a noi. Appunto, vi dicevo, il concetto di Kaizen è questo: cercare di fare sempre dei piccoli passi avanti, di fare sempre un piccolo miglioramento.

Io questo lo dico spesso ai ragazzi, soprattutto durante le lezioni. Alla fine della lezione:

Non dovete aver imparato tutto quello che c’è di nuovo da imparare, non dovete aver migliorato tutto quello che c’è da migliorare, ma aver fatto un piccolo miglioramento.

E allora se a tutte le lezioni tu fai un piccolo miglioramento, la somma di questi piccoli miglioramenti diventa un miglioramento gigantesco.

Se invece tu cerchi durante una lezione di migliorare un sacco di cose, poi durante le altre te ne freghi e non migliori nulla, e beh, chi fa questi piccoli passettini come la tartaruga, la lumaca, ti frega.

Esatto, maestro. L’idea di base è proprio questa: non la ricerca spasmodica di un miglioramento radicale e immediato, ma un percorso costante fatto di piccoli, significativi progressi. È un approccio che si adatta perfettamente alla pratica del karate, dove la pazienza e la costanza sono virtù fondamentali per raggiungere la maestria.

Shinzen: l’Arricchimento Continuo

Shinzen: L'Arricchimento Continuo

Ci sono situazioni che stiamo vivendo che non ci danno le energie per migliorarci. Ci sono esperienze passate che non ci hanno fornito gli strumenti necessari. E il continuare a ripeterci “devo essere una persona migliore” – per quanto sia nobile e bello, ripeto – secondo me potrebbe anche darci la zappa sui piedi e non farci vivere così bene come dovremmo.

Jung diceva che il trucco è cercare di diventare realmente noi stessi e questo secondo me è il vero self improvement

Questo è il vero miglioramento personale: non diventare ciò che la società o le persone che ci sono vicine si aspettano, ma ciò che realmente sentiamo di essere. E questo, a parer mio, è possibile con un approccio che non è più basato sul “miglioramento” ma su quello che io chiamo “arricchimento costante” o “arricchimento continuo”.

Ti faccio un esempio. Quando prendiamo una scultura in legno, facciamo la bozza, la lavoriamo con le sgorbie, e poi arriva il momento di passare la carta vetro per migliorarla, per lisciarla – concetto molto caro a noi praticanti di karate per il discorso di cercare di migliorarsi. Tu passi e ripassi questa carta vetro, ma a un certo punto, se non sei bravo o se ti distrai, la carta vetro può fare danni. E quello che magari era bellissimo diventa un obbrobrio.

Ecco, questo potrebbe succedere anche con noi, con questa nostra continua tensione verso il miglioramento costante, verso una “migliore versione di noi stessi”.

Ma perché non potremmo già andare bene così come siamo?

Certo, ci si può sempre migliorare, il miglioramento è un processo costante, è un processo senza fine. Ma noi potremmo anche arrivare a un punto della nostra vita in cui abbiamo una consapevolezza tale, o per cui ci sono una serie di situazioni che ci fanno dire: “Ma sai che c’è? Io mi vado bene così.”

Deve essere ovviamente una cosa genuina, non una scusa. O qualora fosse una scusa – che ci può anche stare – essere consapevoli che sia una scusa. Ma perché non potrebbe andar bene?

Anziché puntare a questo fantomatico miglioramento di noi stessi questa fantomatica versione migliore di noi che ormai si può raggiungere anche con le patatine probabilmente perché non puntiamo ad essere una versione più ricca di noi?

Arricchirsi è una cosa meravigliosa. Io vorrei essere ricco sfondato, ma ve lo dico proprio senza nessuna remora. Perché? Perché quando sei ricco hai risorse, e quando hai risorse puoi fare tante cose, non solo per te ma anche per gli altri.

Io l’ho sempre detto: se mai un giorno riuscissi a fare il botto e ad avere una barcata di soldi, ci sono un sacco di cose che vorrei fare che non sono per me. Dal comprare una zona e farci un bosco aperto a tutti per poter avere un po’ di verde qui in zona, ad altre mille cose che non hanno niente a che vedere con me. Però se quelle risorse non le hai, le cose non le puoi fare.

Quindi arricchirsi è una cosa meravigliosa, bellissima. E noi possiamo arricchirci materialmente, ma possiamo anche arricchirci interiormente.

E allora perché non ragionare così? Perché non ragionare che, anziché tornare a casa con qualcosa di fatto meglio, qualcosa di perfezionato, qualcosa di più preciso, non potremmo ragionare con il fatto di tornare a casa un pochino più ricchi? E quindi cercare di trovare ricchezza nelle esperienze che viviamo, che siano il parlare con una persona, che siano il registrare un podcast, che siano l’allenamento di karate, che sia il leggere un libro.

Cercare sempre di arricchirsi un pochino e cercare sempre di mettere nel nostro cuore un po’ più di tesori, proprio come se fossero custoditi da un draghetto. Questo, a parer mio, potrebbe essere un approccio – anzi, a parer mio è un approccio – più equilibrato, che non ci fa sentire in colpa e, soprattutto, che non ci crea dipendenza. O meglio, ci potrebbe creare una dipendenza positiva: la capacità di trovare ricchezza nelle cose che facciamo.

E la ricchezza, ragazzi, la potete trovare davvero in tante cose: dal parlare con un amico, al mangiarsi un piatto di pasta fatto da voi, al fare un bell’allenamento, ad andare a farsi una passeggiata, al parlare con i vostri genitori… Veramente, c’è tantissima ricchezza attorno a noi.

Grazie maestro, sto migliorando. E questo concetto ho cercato un pochino di capire come si potrebbe tradurre, per dargli un nome figo in giapponese, così possiamo andare in giro e dire: “Ma no, guarda, io non faccio Kaizen, io non faccio self-improvement, io faccio…” (si dice Shinzen o Shinzenmei).

Però, dato che “Shinzen” è un sacco lungo e io lo trovo molto difficile da dire, noi potremmo tradurre questo concetto in “Shin”, che vuol dire “cuore” o “spirito buono”. E guarda te, torna il nome del nostro dojo: Shin Sui.

Voglio dire, appunto, “cuore buono” – lavorare per avere un cuore buono, un cuore ricco, uno spirito buono, ricco, proprio come il Kaizen, ok?

E io oggi voglio proporvi questo approccio qua: anziché lavorare sempre su questo dannato self-improvement, lavorate sull’essere. Provate, vi invito, a essere persone più ricche ogni giorno, a trovare un briciolo di ricchezza, un dobloncino d’oro ogni giorno in quello che vivete, in quello che fate, e a tenerlo lì, pronto da essere condiviso.

Perché le ricchezze se non sono condivise sapete quanto valgono? Zero!

E adesso, amici cari, direi che è arrivato il momento di ascoltare la domanda di Mike.

Come Gestisco le lezioni di prova nel mio Dojo?

Oggi voglio rispondere a una domanda che mi ha fatto Mike, ormai un affezionato ascoltatore. Mi piace molto questa domanda perché mi dà la possibilità di ragionare con voi sulle prime lezioni che si fanno in palestra, un argomento che mi sta particolarmente a cuore.

Mike mi chiede: “Come strutturi una lezione di prova? Perché molto spesso vai a fare una lezione di prova, non ti spiegano niente e al massimo hai l’accortezza di metterti con qualcuno più esperto, ma neanche tanto. E quindi, visto che più di una volta ho avuto delle lezioni di prova disastrose, poco invitanti, volevo sapere come è strutturata una lezione di prova per i possibili studenti nel tuo dojo.”

Il mio approccio: non faccio lezioni di prova

io non faccio lezioni di prova perché non credo che una lezione di prova possa far capire a una persona o a un bambino che cos’è il karate e cosa significa praticare karate

Parto subito dal dirti che io non faccio lezioni di prova. Boom! No, io non faccio lezioni di prova perché non credo che una lezione di prova possa far capire a una persona o a un bambino che cos’è il karate e cosa significa praticare karate.

Io generalmente regalo due settimane di corso a chi vuole iniziare in maniera tale che la persona possa venire lavorare con noi senza alcuna pressa

Io generalmente regalo due settimane di corso a chi vuole iniziare, in maniera tale che la persona possa venire, lavorare con noi senza alcuna fretta, vedere se il gruppo gli piace, vedere se si trova bene con me, vedere se io mi trovo bene con lei – perché è successo che alle volte ci fossero degli studenti con cui non riuscissimo a creare rapporto – e da lì poi decidere serenamente se iniziare a praticare oppure no.

L’importanza del periodo iniziale

Credo che il periodo di prova sia un momento molto delicato su cui bisogna fare molta attenzione. Noi abbiamo una persona che arriva nel nostro dojo, indipendentemente dall’età, con tutta una serie di idee, di aspettative, di desideri, e si trova in un ambiente completamente nuovo, in un gruppo magari già formato, con un insegnante che potrebbe essere non un “piacione” come me, quindi magari un po’ più rude, un po’ più anziano, che potrebbe avere un po’ di reticenza, e questa persona si deve subito ambientare.

La prima cosa che secondo me bisogna evitare assolutamente è quella di creare attrito verso questa persona, indipendentemente che poi voglia o non voglia fermarsi, o che sia allineata o non allineata con noi. Perché? Perché perderemmo una grande possibilità: la possibilità di farla entrare nel nostro mondo, di fargli vedere il nostro mondo.

quello che interessa è che indipendentemente che la persona si fermi o non si fermi esca da quell’esperienza in modo positivo

Quello che interessa è che, indipendentemente che la persona si fermi o non si fermi, esca da quell’esperienza in modo positivo e dica: “Guarda, ho scoperto che il karate non fa per me, però che cosa bella che fate, che bello che è l’ambiente, come si sta bene”. Questo mi interessa, al punto che io alle volte ho avuto delle persone che si sono fermate più per l’ambiente e il gruppo che per la disciplina di per sé.

Come gestisco i nuovi arrivati

Cosa succede quando arriva una persona nuova? Purtroppo, soprattutto se la persona arriva ad anno inoltrato, diventa difficile dedicarle oggettivamente, in primis, l’attenzione necessaria. Però ecco cosa faccio:

  1. Nella parte di riscaldamento e preparazione fisica rallento un attimo, cerco di spiegare bene a questa persona tutte le cose che facciamo e di mettermi a fianco a lei per darle una mano.
  2. Qualora questo non fosse possibile, le affianco una persona che conosce molto bene quelle cose che stiamo facendo e che l’aiuta. Di solito è o mia moglie o Martina, che sono le persone un po’ più alte in grado e che ci sanno fare di più con le persone. Queste persone, ovviamente, per quel periodo lì si dedicano tanto a questa persona, gli fanno proprio questo grande dono.

A me interessa proprio che chi arriva nel nostro gruppo:

  • Non si senta un estraneo, ma venga subito incluso
  • Non si senta a disagio
  • Non si senta incompetente nel fare le cose
  • Abbia la possibilità di avere qualcuno che lo aiuti a imparare

Dopodiché, ovviamente, si inizia con le tecniche di base davanti allo specchio, nella maggior parte dei casi. Tranne in qualche rara volta dove, magari se la lezione è particolarmente semplice, cerco di inserire subito la persona nel gruppo, e questo di solito fa tanta roba.

Cerco di inserirla sempre vicino a me o vicino a Martina o Valeria, che sono persone con grandi competenze e riescono ad aiutarla. Se questo non è possibile, la metto davanti allo specchio con una persona che sa cosa deve insegnare alle persone quando arrivano a provare, perché noi abbiamo un modus operandi prestabilito per insegnare le basi, per insegnare i primi concetti.

Comunque io vado sempre a spot a chiedere come va, a vedere le tecniche, a dare dei suggerimenti, a cercare di far sì che questa persona non si senta abbandonata. Ecco, questo è il punto fondamentale: nei periodi iniziali inizio sempre con l’ABC, ma cerco sempre di non far sentire la persona abbandonata.

L’esperienza passata e la soluzione ideale

C’è stato un periodo, durante il mio corso di Urban Budo e di Ju Jitsu per la difesa personale, in cui avevo delle persone così competenti, che si allenavano da così tanto tempo con me, che ho avuto addirittura il lusso di poter fare una cosa che sarebbe, a parer mio, l’optimum, ma che purtroppo adesso non posso più fare.

C’erano due persone incaricate a seguire chi arrivava nuovo. Uno di loro era a tutti gli effetti un assistente istruttore, quindi quando arrivava una persona nuova, lui la prendeva e gli stava dietro. Questa è sempre stata la cosa più bella che abbiamo mai potuto fare, perché questa persona si sentiva molto seguita, non aveva difficoltà a seguire le lezioni e comunque aveva la possibilità di non sentirsi in difetto per non riuscire a fare le cose.

Qualora non avessi però qualcuno di cui mi fido e che ha un alto livello sia tecnico che umano da affiancare alla persona che sta iniziando, vado direttamente io. Lascio che i ragazzi, per una lezione o due, si arrabattino da soli – non mi importa tanto, devono anche imparare a fare questo – e poi piuttosto vado a seguire io la persona nuova.

Il mio consiglio

io vi suggerisco di fare molta attenzione se fate la lezione di prova o un periodo di prova di fare molta attenzione a quel periodo perché è un periodo molto delicato

In ogni caso, vi suggerisco di fare molta attenzione se fate la lezione di prova o un periodo di prova. Fate molta attenzione a quel periodo perché è un periodo molto delicato. È il momento in cui una persona decide se entrare nel vostro mondo o meno, e voi avete la responsabilità di fargli vivere un’esperienza positiva, indipendentemente dal fatto che poi decida di restare o meno.

Ricordate sempre che l’obiettivo non è solo acquisire un nuovo studente, ma far sì che chiunque entri nel vostro dojo ne esca con un’impressione positiva del karate e del vostro ambiente, anche se decide che non fa per lui. Questo è il vero spirito dell’accoglienza nel mondo delle arti marziali.

Vuoi unirti alla nostra Alleanza?
Ho aperto un gruppo Telegram dedicato ai Pirati del Karate, il popolo dei Karateka Liberi d’Italia.
Qui possiamo chiacchieriamo, condividiamo esperienze, rispondo alle domande e organizziamo eventi per allenarci assieme.
Unirsi alla nostra Alleanza è semplice, ti basta cliccare qui sotto

👉 UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY

Puoi ascoltare il podcast anche su:

Eugenio

Dal 2009 Eugenio Credidio contrabbanda karate autentico ad Alessandria e nel web e insegna a riconoscere, prevenire e combattere la violenza. Oltre al sui dojo di Alessandria gestisce il canale YouTube di karate tradizionale più seguito d'Italia. Ha ideato il metodo di autodifesa Urban Budo che è stato riconosciuto dal CONI nel 2019. Nel 2013 ha pubblicato assieme al Maestro Balzarro, "On the road" per la OM edizioni e, nel 2020, "Passeggiando per la Via - Storia, riti e gesti del karate".

I Pirati del Karate

Ogni settimana scrivo una mail riservata ai Pirati del Karate.

I karateka liberi della nostro Repubblica Indipendente.

Sono karateka liberi che praticano per la gioia di praticare, che si oppongono allo strapotere delle Federazioni e che vogliono salvare il Karate.

Scrivo loro approfondimenti, spunti, riflessioni, suggerisco libri e condivido strategie per l’allenamento.

Vuoi essere uno di noi?

Altri articoli che ti potrebbero piacere:

Karate e ADHD

Karate e ADHD

Carl Pullein sta diventando uno dei miei punti di riferimento ultimamente. Magari non l'hai mai sentito nominare, quindi ti spiego: è un esperto di...