Può capitare, a volte, che per quanto tu abbia un concetto chiaro in testa, nel momento in cui provi a esporlo, venga fuori che poi così chiaro e cristallino forse non era. Questo è un peccato perché la tua idea viene stravolta e dà adito a fraintendimenti. Fa parte del gioco della comunicazione: uno crede di avere qualcosa di interessante o importante da condividere e prova a esporlo. A volte ci riesce, altre volte, purtroppo, no. Questo è quello che è accaduto con il mio podcast sul karate a contatto pieno.
Ho ricevuto molti commenti, alcuni di persone a cui il mio messaggio era arrivato in modo chiaro, ma molti altri di persone che hanno frainteso quello che volevo dire. E questo è dovuto a me, alla mia incapacità di esprimermi in maniera sufficientemente chiara. Dato che l’argomento è a me molto caro, ho deciso oggi di ripartire da capo, per spiegare meglio il mio punto di vista riguardo alle discipline da contatto, alla pratica a contatto pieno, perché mi preoccupa e perché ritengo che ci sia stato un grande fraintendimento.
Un chiarimento necessario
Due settimane fa ho pubblicato un podcast sul karate a contatto pieno, sottolineando che non voleva essere una critica generalista e che parlavo della mia esperienza personale. Tuttavia, molti hanno frainteso il mio messaggio. Sono molto contento di trovare persone in disaccordo con me, perché il disaccordo ci permette di confrontarci, di parlare e, se c’è la volontà da entrambe le parti, di crescere e evolverci. Ma è importante chiarire che il mio messaggio non è stato esposto in maniera chiara.
Nel mio podcast precedente ho parlato del karate a contatto pieno, un argomento che ritengo importante per il karate Shotokan e per tutte le discipline marziali. Io credo che il karate sia uno solo e che tutti i vari stili non siano altro che vari dialetti che possono arricchirci. Ho praticato karate dagli anni ’90, quando ancora la pratica era molto dura, influenzata dal karate epico degli anni ’70 e ’80. Nonostante la pratica dura e ignorante di quegli anni, credo che sia importante oggi integrare il contatto nel karate.
La pratica del contatto
Ho sempre cercato di integrare il contatto nei miei corsi, anche a contatto pieno, se ben dosato e con un percorso preciso. Credo che il contatto abbia la sua valenza, se fatto con tutte le precauzioni del caso.
Ho creato una mia metodologia di lavoro, chiamata Urban Budo, che cerca di portare i ragazzi a fare il lavoro a contatto, fino ad arrivare al contatto pieno. Questo è importante se lo scopo è imparare a difendersi.
La narrazione tossica
La mia critica non è sulla pratica del contatto, ma sulla narrazione che alcune persone portano avanti. Ci sono molti che, sotto i riflettori, presentano alcune discipline come le discipline dei veri guerrieri, denigrando tutto il resto. Questo tipo di narrazione è velenosa e avvelena le discipline che la adottano, creando un’idea sbagliata nelle persone. Io non mi riferisco alla pratica, agli stili o agli insegnanti, ma al modo in cui molti spingono questo tipo di attività, creando un mito attorno a queste discipline.
Il contesto sociale
Viviamo in un’epoca in cui ansie, preoccupazioni e disagi sono sempre più presenti. Molti ragazzi oggi hanno problemi a gestire l’ansia, cosa che alla loro età non era comune. Oggi ci sono tanti escamotage per distrarsi ed evitare di affrontare le proprie angosce. Una di queste è la violenza. Alcuni cercano nelle discipline a contatto un modo per sfogare le proprie frustrazioni, per sentirsi vivi e dimenticare per un po’ le loro preoccupazioni. Questo è preoccupante perché non affrontano veramente i loro problemi, ma li evitano.
Concludendo
Spero di essermi spiegato meglio questa volta. Mi dispiace molto se il mio messaggio precedente è stato frainteso. Non è mia intenzione demonizzare alcuni stili o insegnanti, ma credo che sia importante riflettere su come comunichiamo e su quali messaggi trasmettiamo. Invito tutti a praticare il karate in modo consapevole e a usare le discipline marziali come strumento per migliorare la propria vita, non come un modo per evitare i propri problemi.
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